Emmanuel, parole al vento tra razzismo ed ultrà
Nessuna parola del dopo giustifica ciò che è avvenuto prima. Le parole non lavano la colpa, non la eliminano, non danno sollievo: non devono darlo. Le parole del dopo, in fondo, non servono.
Eppure abbiamo bisogno di parole per comprendere il perché delle cose, il perché dei fatti.
Oggi noi tutti, italiani, per onorare la memoria di Emmanuel dovremmo costituirci, andare in un posto di polizia e farci arrestare, scontare la nostra giusta pena.
Non possiamo rifugiarci in un IO NON C’ENTRO, IO NON C’ERO.
Dovremmo dire IO C’ENTRO, IO C’ERO, perché siamo una nazione che troppo spesso, nel privato della convivenza familiare, educa i propri figli al razzismo e non all’accoglienza, all’esclusione e non all’inclusione, alla divisione e non alla condivisione, al tifo e non allo sport.
Il tifo ed il razzismo hanno la stessa radice: la prevaricazione. Non servono leggi se nel privato educhiamo i nostri figli a prevaricare, ad imporre le proprie ragioni con la forza, questo è il seme del razzismo e di questo seme siamo tutti colpevoli, nessuno di noi può chiamarsene fuori.
IO C’ENTRO, IO C’ERO, IO SONO COLPEVOLE!

Foto: Cappella Sistina- Giudizio Universale- Michelangelo Buonarrorti

