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Un artista, il suo impegno

Mariano Bellopede è un bravissimo musicista jazz, il suo ultimo lavoro dal titolo “Di altri sguardi- racconti dal Mediterraneo”  è completamente dedicato ai migranti. Gli abbiamo chiesto di concederci un’intervista, ha accettato. Lo ringraziamo per la sua bella disponibilità. In appendice all’intervista, una nostra piccola riflessione.

 D.: Ciao Mariano, innanzi tutto, ti facciamo i complimenti per il tuo lavoro, la tua musica è molto suadente, bella da ascoltare. Facciamo una premessa: non ti chiediamo risposte da esperto. Vogliamo delle risposte che vengano date dalla tua sensibilità, non abbiamo la pretesa di trovare soluzioni, abbiamo la speranza di porre interrogativi rivolti a far guardare le cose sotto un’altra prospettiva. Come nasce l’idea di dedicare un intero lavoro ai migranti? 

Ho voluto fare un disco in cui ogni brano nascesse, come ispirazione, da un evento della recente storia del Mediterraneo…per cui, non solo i migranti ma su 10 tracce, inevitabilmente , almeno 6 si collegano a quello. L’idea di costruire il mio disco in questo modo è nata dal fatto che volevo fare un disco di contenuti. Un disco che non fosse soltanto musica e che anzi, dichiarasse quanto la musica sia imprescindibilmente legata a ciò che succede attorno.

D.: Sappiamo bene che un artista lavora facendosi trasportare dalle proprie sensazioni, ci chiedevamo però se hai avuto modo di conoscere di persona qualche migrante, se ti ha parlato delle sue disavventure?

Si, ho avuto modo: ne ho conosciuti e mi sono fatto raccontare quello che nessuno di noi può mai veramente capire. Ne ho invidiato la forza di volontà e il coraggio . Anche da loro mi sono fatto consigliare libri , poesie, racconti da leggere.

 D.: Secondo te i mass-media raccontano bene il problema dei migranti? La loro narrazione è reale?

Di sicuro, fino a qualche mese fa , no. Adesso, da quando la situazione è precipitata, avverto una sensibilità maggiore…  La cosa che però manca da sempre, a livello di informazione, è sottolineare quando si sarebbe dovuto fare in passato e mai si è fatto e, NON CAPISCO PERCHE’, ANCORA NON SI FA… o meglio lo immagino il perché, non c’è interesse ad andare aiutare alcuni territori quando si può tranquillamente attingere in altre parti del mondo.

D.: Noi da anni diciamo che 100.000 persone che sbarcano ogni anno a Lampedusa sono un problema catastrofico, ma 100.000 persone che sbarcano ogni anno in Europa potrebbero essere una risorsa, condividi?

       La soluzione è difficile, anche perché credo che oggi i numeri siano notevolmente aumentati e continueranno a farlo, finché non si andrà ad agire in senso UMANITARIO nei territori colpiti … in ogni caso, che tutti accolgano tutti è secondo me condizione necessaria .

D.: Noi sappiamo bene che chi fugge lo fa perché, spesso, non ha altra scelta, non credi che ci debba essere più tolleranza verso i migranti? E non credi che bisogna  cercare di considerare i singoli casi e non legiferare sui grandi numeri? 

Ma si, assolutamente. Trovo assurdo fare delle leggi contro i migranti … è davvero scontato sottolineare che sono persone come noi. Madri, Padri, figli… bisogna sconfiggere in partenza qualsiasi tipo di pregiudizio e legiferare sui grandi numeri non aiuta assolutamente in questo.

 D.: Noi non siamo esperti di musica, siamo ascoltatori, l’Africa musicalmente offre riferimenti? Conosci musicisti africani?

L’Africa ha una cultura e tradizione musicale favolose, assurde, interessantissime… e anche molto complesse: i musicisti lì usano ritmiche complesse, suoni e strumenti bellissimi, scale diverse dalle nostre.. L’Africa è assolutamente immensa ! Di una ricchezza enorme. E c’è anche grosso rispetto nei confronti dei musicisti.

Cosa pensi del nostro lavoro?

Penso sia un lavoro serio, importante. La sensibilizzazione è fondamentale, perché l’animo umano , infondo, è aperto alle parole buone. E voi in questo siete importanti come , spero, anche il mio disco.

Grazie Mariano, grazie davvero

A proposito di aiuti umanitari

Il problema migranti ormai occupa le cronache quotidiane, tutti ne parlano di continuo.  Finalmente è diventato, come noi auspichiamo da anni, un problema che interessa tutta l’Europa. Con ritardo, con molto, colpevole, ritardo. Molte idee vengono proposte per cercare di risolvere il problema, molti vorrebbero risolvere il tutto partendo dalla base, dall’Africa, dando aiuti ai Paesi dai quali i profughi fuggono. Questa soluzione che pure sembrerebbe la più immediata, la più semplice, è anche la meno indicata. Purtroppo chi fugge, fugge non solo dalla povertà, ma, soprattutto, da Stati oppressivi e dittatoriali che costringono i propri cittadini non solo a partecipare a conflitti, ma quasi a vivere in un clima carcerario per tutta la vita.  Dare soldi ai governi, significherebbe foraggiare il perpetuarsi delle cause di oppressione, ovvero dare forza a coloro che sono la vera causa del problema. Questa situazione non viene mai abbastanza sottolineata dai media, eppure per capire il problema dei migranti  quest’aspetto è fondamentale.  Se l’Occidente fa un accordo con i governi locali per fermare la migrazione, non crescono le opportunità di lavoro per i cittadini africani, ma crescono a dismisura gli strumenti di oppressione. Come fare? La soluzione non è semplice e, soprattutto, non è immediata: bisognerebbe incentivare lo sviluppo di percorsi democratici, ma l’esperienza storica degli ultimi 50 anni ci insegna che la democrazia non si esporta e né si impone.  Ora come ora noi, in Occidente, non possiamo far altro che sviluppare una politica dell’Accoglienza che sia quanto più integrata possibile, che sia garante quanto più possibile della dignità dell’essere umano. Deve essere questo il punto fermo nell’affrontare il problema dei migranti. I diritti umani vanno garantiti, non si può arretrare su questo punto. Se la Storia è conquista, le nostre democrazie hanno la forza e la maturità per non alzare muri, per non chiudere frontiere. Questo non vuol dire che per sviluppare una politica dell’Accoglienza si debbano risolvere prima i problemi interni dei Paesi interessati come la disoccupazione, la povertà,  la criminalità. Tutti noi, cittadini occidentali, dobbiamo arrivare a sviluppare una matura politica dell’Accoglienza che ci permetta di considerare il migrante, un nostro futuro concittadino che con il proprio lavoro, pagando le proprie tasse contribuirà alla crescita della vita civica delle nostre Nazioni. Non un problema, ma una risorsa: appunto.

Bellopede

 

Urge sostegno a distanza: Misgana e Sennai schede 1556/B e 1557/B

E’ raro, molto raro, che fra i bambini che vengono inseriti nel programma di sostegno a distanza facciamo delle preferenze, è raro che proponiamo a chi ha intenzione di sostenere un bambino, un bambino che non segua un preciso ordine di iscrizione e di inserimento nel programma di adozioni. Prediligiamo coloro che sono iscritti da più tempo. Garantito loro un sostegno, proponiamo le nuove schede, i nuovi inserimenti. In genere siamo riluttanti anche a chiedere a chi decide di sostenere un bambino se voglia sostenere un maschietto o una femminuccia, anche questa ci sembra una discriminante, una preferenza fatta a danno di un altro. Per noi vige, in modo quasi esclusivo, la regola dell’iscrizione temporale al programma.  Ci sono delle eccezioni, quelle che presentiamo oggi lo sono.

Le suore da Asmara ci stanno contattando quasi ogni giorno sperando di poter dare alle mamme di Migsana e Sennai belle notizie. Noi, nello sconforto, ripetiamo che non ci sono notizie, che prima di loro ci sono altre schede che devono essere affidate, che oggi è difficile, per colpa della risi economica, che una famiglia si assuma l’onere di un sostegno a distanza, che stiamo facendo il possibile cercando di contattare tutti coloro che da anni collaborano con noi. Parole. Servono fatti. Urgono. In accordo con Suor Pina e con la Congregazione delle Suore del Buon Samaritano, abbiamo deciso di fare un’eccezione, di dare priorità, nel programma di sostegno a distanza, a Migsana e Sennai.

Le loro mamme, infatti, da mesi non sanno più cosa fare, da mesi bussano alle porte delle suore in cerca di alimenti per i loro figli, da mesi supplicano per ricevere un aiuto sicuro.

Le mamme di Migsana e Sennai non si conoscono fra di loro, ma hanno una storia simile. Entrambe hanno un marito disperso: forse morto, forse partito, forse disertore. Entrambe, avendo figli molto piccoli, non possono andare a lavorare, vivono di quello che loro danno parenti e amici. Non basta, non può bastare. Le suore fanno il possibile per aiutarle, ma non hanno i mezzi per aiutarle in modo costante, tanto da garantire ai loro figli, una giusta alimentazione e una doverosa scolarizzazione. Il sostegno a distanza sarebbe la soluzione.

A Migsana e Sennai sono state assegnate le schede 1556/B e 1557/B, il sostegno a distanza ha un costo di 26euro al mese, meno di un caffé al giorno.

Se qualcuno di voi lettori vuole sostenere Migsana e/o Sennai e vuole più informazioni in merito, ci contatti allo 0818244999 o invii una mail a info@associazionemariam.it 

Fatelo, è urgente!

P.S.: Se qualcuno di voi lettori ha già un sostegno a distanza e non ha intenzione di averne un altro, cerchi di sensibilizzare qualche proprio conoscente a farlo, grazie!

Mamme

Chi è il povero più povero?

Ci sono domande che non hanno risposte; che, anzi, fanno nascere altre domande senza risposte. Porsele sembrerebbe inutile, sembrerebbe di giocare con un bambino al gioco dei “perché?”. A tutti crediamo sia capitata un’esperienza del genere: qualsiasi adulto, dotato di pazienza o meno, alla decima, alla centesima, alla millesima domanda: “E perché?” finisce per rispondere in due modi: -“Perché è così e basta! “Perché è perché…“. Tanto bella e immensa è la curiosità dei bambini tanto è estenuante e faticosa la ricerca dell’adulto di trovare risposte soddisfacenti, si arriva sempre in una strada senza via di uscita, si arriva sempre ad una domanda senza risposta.

Chi è il povero più povero?

Questa è la nostra domanda senza risposta. E’ la domanda che potremmo declinare in mille altre domande, ognuna con una risposta, ognuna con una soluzione diversa. Mille soluzioni, nessuna soluzione:

Il povero più povero è chi non ha nulla, ma in ogni parte del mondo c’è chi non ha nulla, anche fuori dalla nostra porta, anche a pochi metri da noi, perché decidere di aiutare un popolo lontano miglia e miglia da noi e non aiutare chi è dietro l’angolo?

Il povero più povero è chi non ha voce, di senza-voce è pieno il mondo: persone che ignorano di avere diritti, che non hanno accesso alla minima istruzione, che vivono sopraffatte da un mondo che corre troppo in fretta per loro, perché andare in Eritrea a scovarli?

Il povero più povero è chi non ha assistenza e non può sopravvivere senza l’aiuto di qualcuno, nelle città, nelle ore serali, si adagiano alle pareti di palazzi migliaia di persone; vecchi, giovani, uomini e donne, che, cercando riparo per la notte, si accasciano cercando protezione nelle mura e coprendosi, a volte, solo di cartoni. i poveri più poveri sono solo in Africa?

Chi è il povero più povero?

Noi dell’Associazione Mariam Fraternità- ONLUS, non abbiamo risposte e le risposte, come abbiamo visto, ci portano sempre ad altre domande. Però, nonostante ciò, anche noi, come ogni adulto che gioca con un bambino al gioco dei “perché?” abbiamo il nostro “Perché è così e basta!” . Noi ci dedichiamo al popolo eritreo perché quarant’anni fa, una suora, Suor Pina Tulino, ha dedicato la propria vita a loro, ha acceso per noi una lente d’ingrandimento su di un mondo che se non ci fosse stata lei noi non avremmo mai visto. Un mondo che, una volta visto, ci ha obbligato a fare la nostra parte, a fare il nostro dovere, a non tirarci indietro, nel cercare aiuto per chi ne aveva bisogno.

In quarant’anni grazie al nostro impegno e all’impegno di Suor Pina e della Congregazione del Buon Samaritano,  molte cose sono state fatte, molte persone sono state aiutate e vengono quotidianamente aiutate, speriamo  di riuscire in futuro ad aiutarne di più, a sensibilizzare quante più persone possibili a rivolgere lo sguardo verso un angolo di mondo, il sub-sahariano, che ha sempre più bisogno di aiuto. Questo è il nostro compito, questa è la nostra risposta, questo è il nostro “Perché è così e basta!

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I Viaggi della Speranza- Prefazione di un libro

Prefazione dell’allora Europarlamentare Rosario Crocetta, attuale Presidente della Regione Sicilia, al libro “Come un Italiano” di Francesco De Filippo- Vincitore della II Edizione del Premio Internazionale Dott. Domenico Tulino svoltasi nel 2013. Il Premio, che ha il Patrocinio del Parlamento Europeo, è edito dalla Casa Editrice Infinito Edizioni. Il Costo del libro è di € 13,00. Puoi richiedere una copia ai nostri indirizzi e-mail, parte del ricavato andrà a finanziare i Progetti che la Congregazione delle Suore del Buon Samaritano ha in Eritrea.

<<I viaggi della speranza. Sinceramente negli ultimi tempi ho iniziato a diffidare molto di questi viaggi. Conosco troppe storie finite male e ho ancora impresse nella mente le immagini del marzo del 2011, quando sono andato a fare un’ispezione a Lampedusa. Ragazzi, uomini e donne che, da oltre un mese, avevano ancora gli stessi vestiti pregni di salsedine che indossavano lo stesso giorno dello sbarco. Uomini e donne che dormivano sopra fogli di cartone, in attesa di una notizia, di una risposta, di un trasferimento, di un bicchiere di latte.Il viaggio è sempre connesso alla speranza. Ricordo una volta, quando un altro Mohamed – che non è il protagonista del romanzo – mi disse, in Tunisia, che lui voleva salire su un barcone per andare in Europa. “Si può morire, Mohamed”, gli ho detto. Ma Mohamed voleva partire lo stesso. Sapeva che poteva morire ma voleva partire, perché voleva tentare di vivere. Mi disse una cosa che mi impressionò particolarmente: “Sono senza lavoro, vivo in un Paese dove non c’é libertà, non ho i soldi per sposarmi e per mettere su una casa. Voglio tentare. Poi, li vedi i tunisini che arrivano dall’Europa. Sono ben vestiti, hanno delle belle macchine, sono più bianchi…”.Si, appunto, gli africani che vivono in Europa diventano più bianchi e io ricordo da bambino, quando in estate rientravano gli emigrati siciliani dalla Germania o dal Nord Italia. Mi impressionava il fatto che erano più bianchi di noi, che stavamo sempre sotto il sole cocente del Sud. Li guardavo come extraterrestri. Ma io appartengo a una generazione che considerava l’abbronzatura una bella cosa. Mohamed no. Mohamed sa che ancora oggi avere la pelle scura vuol dire subire delle discriminazioni o, a volte, semplicemente delle antipatie: Mohamed vuole diventare più bianco.Il sogno così dell’emigrazione verso l’Europa si carica non soltanto di bisogni economici ma anche di speranze fittizie, generate dalle ingiustizie del mondo ma, anche, dal massacro culturale che l’Occidente conduce nei confronti delle altre culture: bianco è meglio che nero, europeo è meglio che africano, cristiano è meglio che musulmano, ricco è meglio che povero eccetera.Si sale così su un barcone. A volte perché c’è uno scafista che organizza il vile mercato degli uomini e delle donne, altre volte perché un gruppo acquista una barca vecchia – che forse non ce la faràad arrivare – e tenta il viaggio. Solo che l’Occidente che attende sulla riva opposta non è quello che i Mohamed hanno sognato e continuano a sognare. Appena si arriva vengono prese le impronte digitali, si viene schedati e trasferiti in un centro di accoglienza o in un centro d’espulsione. Si attende. Si attende come a Tunisi, come a Casablanca, come a Dakhar. Si attende di sapere che fine avranno i propri anni. In quei centri, i Mohamed pensano per tutto il giorno cosa stia succedendo, si chiedono perché l’Occidente della libertà e della democrazia non si ponga il problema di conoscere le persone che sono arrivate, da dove vengano, che cosa abbiano fatto, come abbiano vissuto, cosa pensino. Un piatto di pasta al giorno, sempre la stessa, e qualche vestito usato, regalato da qualche anima caritatevole. Ma Mohamed è emigrato per comprare i jeans Levi’s originali, ma tutto sommato gli è andata bene, è arrivato vivo. Ho visto di peggio. Ero sindaco di Gela quando ho dovuto identificare – unica persona che conosce l’arabo in quel momento disponibile a farlo –  i cadaveri di undici ragazzi arrivati sulla spiaggia di Gela, che erano appena morti. Ricordo quelle bare che venivano scoperchiate da un ragazzo di 17 anni che cercava lo zio, doveva essere tunisino, ma diceva di essere palestinese – per via del diritto di asilo. Dopo ogni bara che apriva, quel Moahmed sorrideva poiché costatava che il morto non era lo zio e poi sbiancava, per il dolore della morte di un suo compagno di viaggio.Di quegli undici ne ricordo uno in particolare, aveva il cartellino numero tre. Era disteso dentro quella bara, con una tuta bianca, degli scarponcini da ginnastica bianchi e una maglietta gialla con una scritta Fila. La maglietta era arrotolata sul petto, si era gettato in mare che l’acqua era ancora bassa, poi via via era divenuta più alta, e Mohamed non sapeva nuotare. La morte lo aveva colto nell’ingenuo gesto teso a non bagnare i vestiti.Il Mohamed di Francesco De Filippo ha dovuto, anche lui, apprendere sulle proprie spalle che l’Europa non era quella che aveva sognato. Lui viene dalla Costa d’Avorio, non dalla Tunisia. Ma si chiama comunque Mohamed e ha la pelle più scura. Così, nelle prime pagine, arrivano i carabinieri e gli chiedono se è regolare, e i carabinieri si sorprendono di fronte a un regolare, uno coi documenti. Ma Moahmed – che lavora in un call center – potrebbe essere uno che fa il pusher. E poi di che religione è Moahmed? È uno che “non crede nel Signore… crede in Maometto”. Invece Moahmed non è religioso e frequenta l’università e gli mancano soltanto quattro esami per laurearsi in ingegneria. Il carabiniere è sconvolto dal fatto di trovarsi dinanzi un ivoriano che lavora in un call center, che ha il permesso di soggiorno e sta per diventare ingegnere. Crolla ogni luogo comune.Francesco De Filippo distrugge i luoghi comuni attraverso un romanzo che racconta le vicende normali e straordinarie di un giovane immigrato ivoriano. Racconta della sua vita, delle sue relazioni, dei suoi incontri: potrebbero essere benissimo le storie di un giovane siciliano andato al Nord, ma Moahmed è ivoriano, è scuro di pelle, e tutto si complica. Mohamed a un certo punto non ce la fa più, ha paura, pensa di non poter sopravvivere a una società che non lo prevede, non sa che fare. Tornare a casa? Manco a pensarlo. Restare? Troppi casini. Moahmed si salva.Non voglio rilevare i particolari di questo romanzo affascinante e coinvolgente, voglio lasciarli al lettore. Ma c’è una cosa che trionfa, l’Amore. Quell’amore che sempre salva il mondo e che è alla base di ogni nostra azione, di ogni nostra speranza, di ogni nostra scelta, di ogni sosta e di ogni viaggio. In fondo Mohamed era partito per amore, l’amore verso una cultura e un mondo che pensava migliori, poi ha dovuto comprendere che quell’amore, anche nel nuovo Paese, lo doveva costruire nel microcosmo dei rapporti quotidiani. É tantissimo. Basta così. >>Rosario Crocetta- attuale Presidente della Regione Sicilia

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Puoi richiedere il libro presso la nostra Associazione.

L’esperienza di Anna che sostiene a distanza Francesco scheda 1530/B

Anna segue la nostra pagina fb, Mariam Fraternità, da poco sostiene un bambino di Asmara. Le abbiamo chiesto di raccontare la sua esperienza, ecco cosa ci scrive. RingraziandoLa, invitiamo, chiunque voglia farlo, a raccontare le proprie sensazioni, le proprie motivazioni:

<<Ciao, sono felice di raccontare la mia esperienza di sostegno a distanza, mi chiamo Anna e ho adottato da quest’anno un bambino che vive ad Asmara. Si chiama Francesco ed ha 5 anni, vive con i nomi anziani e contadini. E’ orfano di madre ed il papà fa il servizio militare. Ho avuto solo una lettera dalla famiglia perché, contattando l’Associazione Mariam Fraternità- Onlus, Anastasia, la tuttofare dell’associazione, mi ha spiegato che i tempi sono lunghi. …tuttavia le poche righe che ho avuto dalla nonna del bambino mi hanno commosso molto ed allargato il cuore. ..avrei voluto essere con loro per abbracciarli e condividere le loro difficoltà e farle anche mie. Il mio modesto contributo ha cambiato la loro vita, così mi scrivono, e mi sento le lacrime in gola perché mi riesce difficile immaginare come 26euro possano cambiare la vita di un essere umano. …ho scritto a Francesco dicendo che io e la mia famiglia gli vogliamo tanto tanto bene. .e mi sono sentita l’anima leggera leggera con il cuore e con tutta me stessa  ,  …e anche felice perché so che in unna paese lontano c’è un piccolo bambino che ha bisogno di me. E’ una bellissima sensazione che ti fa sentire veramente soddisfatta. .. …io sto valutando di dare sostegno ad un’altra famiglia. …vedremo>>

ERITREA 2011 067

Foto Archivio Associazione Mariam Fraternità- ONLUS