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Occhio non vede, cuore non duole….

La settimana scorsa, molti giornali hanno dato enfasi agli accordi raggiunti dal nostro Presidente del Consiglio, Gentiloni, con lo Stato libico per quel che riguarda il blocco sulle coste libiche dei barconi di immigrati che tentano il proprio “Viaggio della speranza”.  Tutti in Italia, in Europa, sembrano aver festeggiato la notizia; tutti hanno plaudito al grande risultato ottenuto dalla nostra diplomazia. Qualcuno si è chiesto, ci domandiamo, se negli accordi ci sia anche la garanzia che a coloro che tentano il proprio “viaggio della speranza” siano preservati i diritti? l’incolumità fisica? un trattamento degno e rispettoso della persona umana? Gli accordi presi dalla nostra diplomazia, riguardano anche quegli aspetti di accoglienza che se ci trovassimo in Italia sarebbero garantiti?.
Questo è un punto dirimente per essere o meno favorevoli alla firma di tali accordi.
Gli scopi umanitari non hanno confini, in un accordo del genere non interessarsi di garantire i diritti equivale a nascondere la polvere sotto il tappeto.
Occhio non vede cuore non duole, ma quest’azione pilatesca non appartiene a chi fa della solidarietà, del rispetto degli altri la propria ragione di vita. Non appartiene a noi. Non potremo mai essere favorevoli a questi accordi se in essi non viene esplicitata la giusta accoglienza dei migranti e non venga data loro la garanzia dell’incolumità fisica.
Di seguito riportiamo la terza parte dell’inchiesta di Vertenze Ambientali sui migranti e l’Irpinia.  In essa, Paola Gerola intervista un’operatrice che opera in Veneto in un centro di accoglienza. E’ interessante sottolineare come l’operatrice viva l’accoglienza come una risorsa che si offre al territorio  non come  un problema.
Ringraziando ancora una volta l’editore di Vertenze ambientali, vi auguriamo buona lettura.
SPRAR: l’accoglienza “altra”

(Irpinia e migranti: 3° parte)

di Paola Gerola

Sara, è una mediatrice culturale ed opera da anni in uno degli Sprar di Venezia, abbiamo voluto riportare la sua esperienza perchè racconta di un modello di gestione dell’accoglienza possibile e molto diverso dagli standard che l’immaginario collettivo delle nostre comunità ha stratificato ma, sopratutto perché offre un modello politico concreto di gestione di una “non emergenza”.

  • Che cos’è lo S.P.R.A.R. – Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati” e chi sono gli attori coinvolti?

Lo SPRAR è un sistema che esiste dal 2001 da quando il Ministero dell’Interno Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) siglarono un protocollo d’intesa per la realizzazione di un “Programma nazionale asilo”. Nasceva, così, il primo sistema pubblico per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, diffuso su tutto il territorio italiano, con il coinvolgimento delle istituzioni centrali e locali dove i Comuni erano in prima fila con il coinvolgimento di tutte le figure della cooperazione sociale di un determinato territorio. Il sistema SPRAR ha funzionato e funziona ma negli ultimi anni l’immigrazione verso il nostro paese è aumentata per motivi legati a guerre e crisi economica e quindi sono nate operazioni come “Emergenza Nord-Africa” e dopo “Mare Nostrum” che nascono con gli stessi intenti dello SPRAR ma che viene gestita non più dai Comuni ma dalle Prefetture. Bisogna aggiungere che l’aumento dei migranti è stata un movimento lento e si percepiva già negli ultimi 6 anni ma la politica ha preferito chiudere gli occhi e gestire l’emergenza profughi in altro modo. Inoltre non tutti i migranti sono rifugiati, molti scappano da guerre oppure alla ricerca di una vita migliore. L’Italia politica ha sempre una memoria corta, ricordiamoci la guerra in Kosovo come è stata diversamente gestita dal nostro paese ma anche dall’Europa stessa e chiediamoci perché per la Siria non è avvenuto lo stesso.

  • Come funziona il riconoscimento di rifugiato in Italia. E’ vero che in Italia ci vogliono più di due anni, mentre negli altri paesi Europei i tempi variano da 6 mesi a 1 anno?

Il migrante appena arriva in Italia chiede lo status di rifugiato e nell’attesa di essere ascoltato davanti ad una commissione è ospite di uno centro di accoglienza. I tempi variano da sei mesi ad un anno ma con l’aumento dei migranti i tempi si sono allungati. Qui, in Veneto, hanno istituito ulteriori commissioni per snellire i tempi. Il migrante racconterà la sua storia davanti ad una commissione la quale valuterà se esistono i requisiti per lo status di rifugiato oppure qualche altro tipo di permesso di soggiorno. Sono delle vere e proprie interrogazioni dove l’aspirante rifugiato deve preoccuparsi di procurare tutta la documentazione possibile per certificare la veridicità del suo racconto. Se ottiene un permesso di soggiorno il migrante esce automaticamente dallo SPRAR ma se ottiene un diniego, cosa molto probabile, può fare ricorso e quindi sarà affiancato da un avvocato e quindi riascoltato dalla commissione e i tempi si allungano. I due anni, quindi, avvengono solo se c’è un diniego e finché l’iter non finisce il richiedente è sempre ospite di una struttura Sprar.

  • Lo SPRAR è veramente lo strumento più efficace per l’accoglienza?

Sicuramente si, per una serie di motivi fondamentali. E’ uno strumento che esiste da quasi venti anni e poi è il Comune che guida il progetto. Il motivo fondamentale è che i progetti SPRAR vengano applicati in centri piccoli (20 massimo 50 accolti) perché la gestione sia efficiente, non è possibile riuscire a controllare 100-150 (addirittura 1000) persone, è normale che poi succedono incidenti e problemi. E’ auspicabile che ogni operatore si occupi di 5-6 migranti al massimo perché è necessario accompagnarli in un processo d’integrazione.

  • Cosa fate di preciso?

Lo SPRAR prende in carico il migrante in tutte le sue attività. Il servizio sanitario quindi controlli medici e vaccinazioni sempre insieme all’azienda sanitaria locale e poi la scelta del medico di base. I corsi d’italiano è la priorità e poi il lavoro. Si ascolta il migrante per conoscere la sua storia ma anche le sue attitudini lavorative e qui si prevedono corsi di formazione lavoro. E poi il sostegno psicologico, ricordiamoci che queste persone affrontano viaggi pieni di pericoli. La nostra cooperativa è in continuo contatto collaborativo con istituto alberghieri per corsi di addetto ai piani, cameriere di sala, cuoco. L’ospite dopo il corso può fare uno stage presso qualche struttura.  Così anche per i corsi di cucito, una ragazza nigeriana che abbiamo accolto oggi lavora nella migliore sartoria di costumi di Venezia. E poi ci sono le famiglie e quindi bambini da iscrivere a scuola e non nascondo le difficoltà di mediazione con i professori. E’ un lavoro faticoso il nostro, è un continuo mediare ma è avere la possibilità di viaggiare senza partire, conoscere il mondo attraverso le persone è veramente una bellissima esperienza. Sono tutte persone che si mettono in gioco, volenterose e soprattutto desiderose di “fare qualcosa”, infatti è fondamentale tenerle occupate perché la maggior parte di loro, soprattutto chi è stato prigioniero in Libia, hanno delle storie terribili alle spalle, e più sono occupati meno tempo hanno per pensarci, pensare distrugge l’anima, non ti nascondo che alcuni dei nostri assistiti sono stati seguiti dai servizi di igiene mentale sempre con ottimi risultati. L’ospite ha bisogno di essere accolto e insieme a lui iniziare un percorso che lo porta ad integrarsi in una nuova cultura.

  • Quindi con questi progetti cambia la forma di “assistenzialismo”?

La parola “assistenzialismo” dovrebbe essere abolita dal vocabolario della cooperazione sociale. La parola assistenzialismo va a braccetto con dipendenza e qui dobbiamo rendere le persone capaci di camminare con le loro gambe ed essere visti come delle risorse economiche. L’obiettivo è quello di renderli autonomi, anche nelle piccole cose quotidiane. E’ vero, c’è sempre il pocket money settimanale, che generalmente loro inviano a casa, ma noi diamo loro anche i soldi previsti per il vitto: loro fanno la spesa e cucinano, inoltre con il cibo si possono creare momenti di integrazione piacevoli sia tra di loro di diverse nazionalità sia con noi italiani, per esempio i nostri volontari hanno insegnato loro a fare la pizza e si è creata la “giornata pizza” alla quale nessuno mancava! Qualunque attività volta all’integrazione è sempre ben accetta da tutti. Ed è qui che deve avvenire il cambiamento. L’immigrato è una risorsa per i nostri territori e loro potrebbero “servire” a noi per non rimanere ripiegati su noi stessi. Come operatore Sprar non ho mai incontrato nessun radicale dell’Islam anzi ho incontrato donne e uomini curiosi di conoscere e alcune volte ci prendevamo anche in giro sulle nostre rispettive religioni.

  • Ma tutte queste spese: corsi, vitto, alloggio, sanità…chi le sostiene?

C’è un vero e proprio manuale di rendicontazione SPRAR con i capitoli di spesa relativi al progetto. Registro generale delle spese, prospetto analitico finale delle spese sostenute suddivise per codice; registro delle presenze dei beneficiari; dettaglio riepilogativo dei costi del personale subordinato o parasubordinato, sono solo alcuni dei documenti richiesti. L’ente capofila, solitamente il comune, deve monitorare e rendicontare al Ministero dell’interno secondo i criteri indicati nel manuale. Il Ministero a sua volta utilizza il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, gestito anche con fondi Europei e fondi dell’UNHCR. Non si scappa e non è possibile “nascondere”, per questo molti ancora preferiscono il sistema “emergenza”.

  • Quindi la soluzione è piccoli numeri e personale preparato?

Sicuramente sì. Il settore immigrazione potrebbe dare lavoro a noi italiani e vorrei concludere dicendo che l’immigrato ci pone davanti ogni giorno un quesito “Sono io un buon cittadino?”. Insomma è l’ora di smetterla di dare la colpa dei nostri problemi all’immigrato perché il desiderio dell’immigrato è di dare meno fastidio possibile. Esiste un’ignoranza dilagante e quindi ben venga l’integrazione perché conoscere allarga i confini della nostra mente. Serve un cambiamento ma cambiare per noi italiani non è facile anche se di questa parola ci riempiamo solo la bocca e le mani e la mente rimangono nelle tasche a contare i soldi oppure per postare l’ultima bufala sui social network. Il problema non è l’immigrato ma l’italiano mi verrebbe da dire.

Le invasioni percepite

Oggi pubblichiamo la seconda parte dell’inchiesta apparsa su Vertenze Ambientali in merito all’Irpinia (nostro territorio di residenza) e i migranti, l’articolo è di Paola Gerola esperta di Associazioni no-profit.
Ringraziando sempre l’editore http://vertenzeambientali.tumbir.com , sottolineiamo come sia molto  interessante che l’immigrazione percepita sia molto superiore all’immigrazione reale.
Specifichiamo inoltre che, pur non essendo presenti in questi numeri, noi come Associazione Mariam Fraternità- ONLUS- abbiamo dato al prefetto la nostra disponibilità ad ospitare nella nostra casa Hagos- 3 migranti ovvero tanti quanti è nella nostra disponibilità.
Buona lettura.
Le invasioni percepite

(Irpinia e migranti: 2° parte)

di Paola Gerola

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I cittadini stranieri ospitati in provincia di Avellino rappresentano solo il 6% degli arrivi in Campania. Circa il 50% degli immigrati, infatti, risiede nella provincia di Napoli, il 22% a Salerno, il 19% a Caserta e il 3% a Benevento.
Raffrontando questo dato con le popolazioni complessive della singole province, si ottiene che l’incidenza della popolazione straniera su quella autoctona è del 4,4% nelle province di Caserta e Salerno, del 3,5% a Napoli, del 3% in quella di Avellino e del 2,5% a Benevento.

Questi numeri da soli già danno il senso di una percezione sociale errata del tema “migranti”. Infatti, seppure in Campania, la crescita demografica relativa ai recenti flussi migratori è maggiore della media nazionale ed una delle più elevate tra tutte le regioni italiane, i circa 217.500 stranieri regolarmente presenti, rappresentano solo il 4% della popolazione residente.

Sono 166 le nazionalità di provenienza. Tra quelle più rappresentate, l’Ucraina è al primo posto (41.324), seguita da Romania (37.905), Marocco (19.195), Sri Lanka (14.090) e Cina (11.641).

Lo stesso vale per il dato nazionale. Anche se negli ultimi anni, anche a seguito dei recenti conflitti internazionali, i processi migratori verso l’occidente si sono intensificati in maniera esponenziale, in Italia, gli stranieri residenti sono solo  l’8,2% della popolazione. Una delle percentuali più basse in Europa (Austria 13,2%, Irlanda 11,9%, Belgio 11,6%, Spagna 9,6%, Germania 9,3%, Inghilterra 8,4%).

Negli ultimi due anni, mentre molti paesi europei hanno registrato aumenti significativi dei flussi entranti, rispetto agli anni precedenti (Romania +20, 9%, Bulgaria +20,6%, Croazia +17,7%, Germania +7,5%…), in Italia, nonostante l’enfasi mediatica, l’aumento è stato solo dell’1,9%.

Un flusso poco influente sugli equilibri economici e culturali del paese, potenzialmente decisivo, invece, per compensare la flessione delle nascite italiche. Infatti, essendo prevista, nel prossimo decennio, una diminuzione degli italiani di 1,8 milioni di unità, per mantenere sostanzialmente inalterata la popolazione dei 15-64enni, sarebbe necessario un flusso di almeno 1,6 milioni di “nuovi italiani”, almeno 157 mila ogni anno.

La maggior parte dei “nostri” stranieri proviene, soprattutto, dall’Europa dell’Est, hanno raggiunto il nostro territorio per studio o lavoro e nel corso degli anni si sono “autonomamente” integrati, eppure, il fenomeno che invece oggi scuote la pubblica opinione, è quello dei migranti “rifugiati richiedenti asilo”.

In Irpinia su 118 Comuni, soltanto 14 hanno aderito al bando del Viminale del 2016-2017, Mercogliano, Venticano, Monteforte Irpino, Forino, Flumeri, Ospedaletto D’Alpinolo, Pratola Serra, Serino, Montefredane, Manocalzati, Pietrastornina, Contrada, Chianche, Atripalda.

Nei centri gestiti dalla Prefettura avellinese (ultimo aggiornamento 8 Giugno 2016) Gambia, Pakistan e Nigeria sono le prime nazioni da cui giungono i 1286 migranti attualmente ospitati in provincia di Avellino nelle 40 strutture distribuite in 23 comuni. In realtà ad oggi, la Caritas irpina stima in circa 2.300 unità, i migranti in attesa dello status i rifugiati, la quasi totalità distribuita sul territorio nei centri C.A.S. – Centri di Accoglienza Straordinaria.

Il modello di gestione straordinaria ed emergenziale dei C.A.S. (nato da un’idea del ministro Maroni nel 2014) che prevede che le prefetture, con Regioni ed enti locali, individuino luoghi di accoglienza anche rivolgendosi a strutture alberghiere o di altra natura, si è rivelato diffusamente fallimentare, per cattive gestioni e assenza di servizi. Soprattutto, inspiegabilmente poco straordinario.
Infatti, i tempi amministrativi dell’accoglienza per il riconoscimento dello status di “rifugiato richiedente asilo”, che dovrebbero variare dai 6 mesi a 1 anno e potrebbero anche abbreviarsi se il richiedente asilo dichiari di voler proseguire il suo viaggio per il ricongiungimento con famigliari o di comunità in altri paesi europei, in Italia dura anche due anni. Cronicizzando le criticità ma garantendo la profusione dei fondi a favore dei soggetti gestori dei C.A.S.

Anche in Irpinia, i Centri accoglienza, presenti in solo 21 dei 118 comuni, sono gestiti da cooperative create ad hoc, in strutture provvisorie e con una attività di tipo imprenditoriale. Si stima un giro d’affari di circa 30 milioni di euro/anno.

Somme che, a dispetto delle bufale alimentate dall’ignoranza dei tanti webeti, non sono percepite dagli immigrati. Anzi.
La struttura capofila cui, solitamente, fanno capo cooperative che gestiscono i singoli centri, riceve 35€ per ogni migrante, che dovrebbero servire per il vitto, l’alloggio, le spese mediche, il famigerato pocket money (2,50 € /giorno, in alcune regioni 2 € /giorno) e le attività di accoglienza. Somme protagoniste, spesso, anche di casi di cronaca disarmanti, fatte di truffe, servizi non garantiti, strutture di accoglienza vergognose.

I controlli effettuati dalla Prefettura avellinese, da settembre 2014 a marzo 2016, hanno prodotto 64 contestazioni di cui 20 con applicazione della penale e recupero sulle somme dovute e 10 risoluzioni contrattuali con chiusura delle strutture.
In particolare, ben sette centri di accoglienza per immigrati sono stati sequestrati in provincia di Avellino dai carabinieri del Nas di Salerno,  a causa delle condizioni igieniche precarie, le presenze superiori ai posti letto consentiti, la mancata distribuzione del “kit giornaliero” che prevede il pocket money , l’occorrente per l’igiene personale, il vestiario e gli alimenti adeguati.

Alternativo al modello dei C.A.S. è il sistema “S.P.R.A.R. – Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati”.

Questo, a differenza del modello CAS, caratterizzato dallo scollamento tra le la gestione delle scelte ed il territorio, vede i Comuni, singolarmente o in rete, protagonisti nella gestione dell’intero processo, dal dimensionamento dei soggetti accoglibili, alla scelta delle strutture, all’erogazione dei servizi, alla vigilanza sul rispetto degli standard.

Gli SPRAR sono progetti della durata massima di 3 anni, presentati direttamente dai Comuni al Viminale, che prevede un’accoglienza massima pari al 2,5×1000 dei residenti il finanziamento delle somme necessarie alla gestione quotidiana degli ospiti, e un bonus di 500 €/anno per ogni persona accolta destinato ad attività di integrazione.

Anche in Irpinia, quello degli SPRAR è un modello quasi mai utilizzato. nonostante rappresenti uno strumento fondamentale per gestire e non subire il fenomeno dell’immigrazione. A differenza del modello “C.A.S.”, dove Prefettura ed enti privati, in nome dell’emergenza indotta, di fatto agiscono senza alcuna relazione con le comunità locali.

Attualmente gli SPRAR attivi in Irpinia sono solo 4 a Bisaccia, Sant’Angelo dei Lombardi, Sant’Andrea di Conza e Conza della Campania, ed assistono un totale di circa 140 migranti, che già godono dello status di rifugiati, hanno messo in atto il programma di accoglienza S.P.R.A.R., finanziato attraverso il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, il FNPSA.
Il totale dei progetti SPRAR già presentati, invece, sono attualmente 8, così individuati:

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A questi, poi, vanno aggiunte le recenti disponibilità formulate al Ministero dai comuni di Frigento, Lauro e Marzano.

Nella sostanza, quello che appare evidente dall’analisi oggettiva dei dati è, soprattutto in Irpinia, l’inesistenza di flussi migratori ingestibili per volumi o livelli di invasività come, invece, si percepisce dagli allarmi sociali che tanta demagogia continua ad alimentare, sulla base di sterili opportunismi, interessi privati o banale ignoranza.
Quanto appare altrettanto evidente è anche l’assenza di intelligenza delle comunità locali ad interessarsi costruttivamente del problema e la conseguente deriva populista di troppi sindaci nell’assecondare le paure infondate, con l’ignavia o con l’opportunismo.
Così, gli scompensi e le crisi che pure si vivono, restano palesemente dovute alla disomogenea concentrazione dei flussi in arrivo che, usando le parole del Prefetto Carlo Sessa, vede “comuni come Monteforte irpino accogliere 300 persone e paesi come Lioni ospitarne zero”. E’ tale stato di cose che acuisce i problemi e lascia gli sciacalli liberi di approfittare delle situazioni.

E’ oggettivo, quindi, che sia abbondantemente giunto, anche in Irpinia, il momento di guarire dalla psicosi collettiva di poter delegare oltre i propri confini o ad altri tempi, uno dei più normali fenomeni sociali di sempre: la migrazione “da posti dove si sta male verso posti dove si sta meglio.

L’importanza, oggi più che mai, del sostegno a distanza

Se oggi un turista visitasse Asmara rimarrebbe colpito non tanto dalla bellezza dei luoghi, pur bellissimi, ma dal vedere una popolazione in gran parte formata da bambini e anziani, dove spesso i bambini cercano di fare i mestieri che spetterebbero agli adulti.

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In fondo è un panorama desolante. I giovani eritrei scappano per cercare una vita migliore che spesso non trovano. Scappano per cercare opportunità che spesso non arrivano. Scappano sperando di poter riuscire a sostenere i propri affetti inviando soldi dall’estero, spesso questo non accade.

In due anni si calcola che circa 60.000 sono i giovani in età lavorativa approdati in Italia. A costoro bisogna aggiungere coloro che non ce l’hanno fatta, coloro che sono fermi nei campi in Sudan, coloro che stanno per arrivare.

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Spesso in questo sito abbiamo enunciato i motivi per i quali i giovani sono costretti a scappare, quello che ci interessa sottolineare è che per coloro che restano, i bambini, la vita è davvero dura,

Le suore del Buon Samaritano, fanno di tutto per aiutare quante più persone possibili; ma le richieste di aiuto sono pressanti, continue.

Per questo motivo il sostegno a distanza diventa ancora più importante, con esso nel tempo abbiamo aiutato bambini a diventare uomini; in questo tempo bisogna assicurare i bambini la sopravvivenza: molti di loro vivono con i nonni e le nonne e non hanno introiti.

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Preghiamo voi lettori di promuovere quanto più possibile il nostro programma di sostegno a distanza.

Questo indirizzo https://www.associazionemariam.it/progetti/sostegno-a-distanza/ vi riporta in quella parte del nostro sito in cui spieghiamo cos’è e come funziona il sostegno a distanza.

Preghiamo coloro che non ancora hanno aderito al programma di farlo e coloro che hanno già aderito di promuovere verso terzi la nostra iniziativa.

Ricordiamo che il costo mensile del sostegno a distanza è di 26euro; un po’ meno di un caffè al giorno…

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I nostri asili

La Congregazione delle Suore del Buon Samaritano negli ultimi venti anni ha costruito e gestisce i seguenti asili:

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Hembertì (Villaggio a 30 km a sud ovest di Asmara)

  • Due asili gestiti dalla Congregazione con personale esterno (440 bambini).

Hazien (Villaggio a 30 Km a nord ovest di Asmara)

  • Asilo gestito dalla Congregazione con personale esterno (110 bambini).

Mai Eidegà (Villaggio a 10 Km da De Kamerè)

  • Asilo gestito dalla Congregazione con personale esterno (200 bambini).

Ad ogni bambino vengono assicurati ogni giorno: merenda, momenti ludici e momenti educativi (primi approcci alla lettura, alla matematica e alla religione).

Il costo complessivo annuo è di € 39.000,00

Inoltre, la Congregazione delle Suore del Buon Samaritano, ha dato vita e gestisce l’asilo nel carcere femminile di Asmara.

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Il costo annuo per la gestione dell’asilo del carcere femminile non è definibile perché sottoposto a molte variabili, non ultima il numero di bambini, figli di detenute, presenti. Ad ogni bambino, in ogni caso, vengono assicurati: merenda, momenti ludici e momenti educativi (primi approcci alla lettura, alla matematica e alla religione).

Come Aiutarci

La donazione è libera e puoi contribuire con una tua quota parte.
Se vuoi sostenere una casa-famiglia o un asilo, compila il modulo che troverai on-line. Oppure contattaci telefonicamente al numero: +39 0818244999.

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L’ipocrisia dei numeri e delle parole

A pochi giorni dall’insediamento del nuovo Presidente USA, Donald Trump, si ha l’impressione che la più potente nazione del mondo stia per intraprendere politiche contro i migranti; contro coloro che, cambiando nazione, sperano solo di migliorare le proprie condizioni di vita, non sempre riuscendoci, anzi.

E’ un ossimoro che la nazione che più di tutte è diventata quel che è diventata grazie a cittadini di origine diverse scelga di alzare muri, scelga di promuovere con l’uso della forza politiche anti-immigrazione.

E’ un qualcosa che non ci aspettavamo. Chi, come noi, crede che il migrante non sia un numero, ma che sia, come abbiamo detto spesso, una persona che sogna, ama, vive, dovrà prepararsi a vivere anni ancora più difficili di quelli che stiamo vivendo. Deve prepararsi ancora più di adesso a difendere fino in fondo i propri principi, le proprie idee.

I politici come Trump per avere consensi si rivolgono ai numeri, usano i numeri per incutere timore, per far credere al popolo che questi numeri saranno in grado di depauperarlo, di togliere loro ciò che hanno acquisito con anni di sacrificio. I numeri, però, sono ipocriti. Nessun numero potrà mai farci conoscere di quante intelligenze, capacità, risorse sia composto.

Noi lottiamo per far emergere dai numeri queste intelligenze, queste capacità, queste risorse. Nessuno ci potrà mai convincere che esse siano del tutto assenti fra le tante persone che intraprendono il proprio “viaggio della speranza”.

Non ci resta che sperare, quindi, che nei previsti orizzonti di tempesta, vi siano ampi e duraturi  squarci di sole….

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