Amore, Carità, Senso di Responsabilità

Nel mese di dicembre 2009, in uno dei nostri giri per promuovere gli aiuti alimentari in favore della Congregazione delle Suore del Buon Samaritano, un bambino in tutta la sua innocenza ci chiese: <<Perché Gesù è nato povero?>>. Uno di noi, quasi istintivamente, rispose: <<Perché i ricchi non hanno bisogno di essere difesi.>>. Gesù si fa ultimo per difendere gli ultimi. Si fa povero per difendere i poveri. Il cristianesimo è la religione dell’Amore, in cui si sacrifica se stesso per l’altro. Ma sacrificarsi per l’altro che significa veramente? Ci sono atti di solidarietà che spesso nascono soltanto dalla propria esigenza di amare, dall’esigenza individuale di sentirsi utili agli altri. Amare, a volte, è anche un atto d’egoismo. Su una tavola bandita, piena di leccornie, dopo che i commensali hanno mangiato a volontà, quel che resta si dà ai cani, agli animali di casa. Questo è, a volte, il comportamento che il mondo ricco, il mondo occidentale, ha verso il Terzo mondo, in generale verso i poveri. Il concetto di Carità che prevale è quello di donare i resti: i vestiti che non si indossano più, il cibo che non si consuma, gli utensili che non si usano. Ma questo concetto di Carità non è certamente la Carità cristiana. La Carità cristiana contiene in sé il vero amore verso l’altro e un serio senso di responsabilità in funzione dell’altro. Amare davvero vuol dire fare in modo che l’altro si realizzi in tutto se stesso, cercare di dare all’altro le proprie stesse possibilità di realizzarsi: dare la metà del proprio mantello per permettere all’altro di riscaldarsi nel tuo stesso modo. È un’utopia? È un sogno che non si realizzerà mai? Forse. Ciò non toglie che il nostro dovere è quello di lavorare per la piena realizzazione dell’altro, d’altronde Gesù per questo motivo è stato crocifisso come uomo, ed è risorto lasciando a noi un messaggio eterno: <<Ama il prossimo tuo come te stesso>>. A volte usiamo le parole come slogan vuoti, ma se andiamo a viverle, se le sostanziamo, le parole diventano pietre che segnano la nostra anima, condizionano i nostri comportamenti.  È difficile amare davvero, ce ne rendiamo conto. Questo articolo nasce per invitare alla riflessione tutti noi su quello che è il nostro compito: aiutare i poveri più poveri. Non si aiutano i poveri se non si dà loro la possibilità di emanciparsi, se non li si mette in condizione di studiare, di migliorare la propria vita, di essere utili agli altri. Fermarsi all’assistenzialismo sarebbe la nostra sconfitta, sarebbe credere che niente nel tempo possa cambiare, significherebbe rendere vano il sacrificio dell’uomo Gesù sulla croce. Allora nasce un sogno, una speranza: che chiunque abbia un bambino in adozione, chiunque finanzi un nostro progetto in Eritrea lo viva con partecipazione; segui il proprio bambino, o la propria bambina, vedendolo diventare a poco a poco uomo, cercando di conoscerlo, cercando di sapere i suoi desideri, aiutandolo a realizzare il proprio sentiero di vita spianandogli la strada, non imponendo niente: né le proprie idee, né il proprio modus vivendi , attenti solo che il suo diritto ad una vita libera e indipendente, non intralci il cammino di altri. Questa è la nostra mèta, il nostro punto d’arrivo.

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