Educare alla solidarietà- Il dovere della Testimonianza

Gli anni di esperienza associativa accumulata nell’aiutare la Congregazione delle Suore del Buon Samaritano di Suor Pina Tulino ad Asmara ci hanno permesso nel tempo di assumere delle convinzioni che sono diventate le nostre linee guida. La nostra in Italia, questo è un aspetto da sottolineare, è un’esperienza solidale nata dalla pratica, dal dovere affrontare  giorno per giorno i problemi che ci venivano presentati dalla Missione Eritrea. Nel 1984, quando siamo nati all’interno della Parrocchia, eravamo un gruppo di adulti e di ragazzi, molti dei quali studenti, armati solo di fede e di buona volontà, nessuno di noi era un esperto, nessuno aveva la percezione di ciò che sarebbe successo, nessuno sapeva programmare il lavoro di una associazione a lungo termine. Era il tempo in cui Madre Teresa di Calcutta faceva conoscere al mondo i suoi poveri più poveri.  Per noi la solidarietà consisteva solo nell’aiutare gli altri ed il nostro aiutare gli altri era meramente il raccogliere soldi e alimenti e mandarli a Suor Pina. A quest’ultima demandavamo tutto il resto: l’educazione spirituale delle suore, l’educazione dei bambini delle case-famiglia, il rapporto con i genitori dei bambini adottati a distanza. Come Ponzio Pilato di fronte ai problemi della povertà ce ne lavavamo le mani e la nostra acqua era data dal nostro impegno a raccogliere i soldi e gli alimenti, il resto per noi era relegato in una sorta di indifferenza. Ma è davvero questa la solidarietà? Nel susseguirsi degli anni ci siamo resi conto di un nostro approccio sbagliato al problema. Nella nostra buona fede abbiamo sempre preteso che culturalmente per noi il povero non fosse un’identità astratta, non fosse meramente un numero, ma avesse degli occhi, un’anima, una personalità. Facile a dirsi, difficile da concretizzare. Perché se è vero che il povero ha degli occhi, un’anima, una personalità è anche vero che da lui si deve pretendere, per onestà, che restituisca qualcosa in termini di impegno a rendersi indipendente, un impegno a essere anch’egli un volano solidale di un progetto di cui è parte integrante. I soldi non bastano a risolvere i problemi della povertà. Se così fosse ci vorrebbe un pozzo senza fondo e nemmeno basterebbe.  La vera solidarietà deve pretendere l’impegno del povero a cercare di non essere più tale, a non adagiarsi sugli aiuti che riceve, a non dare per scontato che gli aiuti ci siano per sempre. Il povero nel processo di solidarietà deve essere parte attiva nel poter permettere che venga aiutata quanta più gente possibile. È ovvio che stiamo parlando per linee generali, ci sono dei casi in cui ci sono dei limiti oggettivi da parte di chi fruisce della solidarietà che sono insormontabili, soprattutto in caso di malattie, ma non possiamo non essere felici quando vediamo coloro che abbiamo aiutato darsi da fare per aprire, quando ci sono le condizioni,  un’attività  che possa portarli ad essere indipendenti, a non dipendere più da noi, ad essere i primi a testimoniare la nostra opera e a contribuire anche economicamente ad essa.

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(Foto: Ragazze mostrano il proprio lavoro dopo aver frequentato il corso di taglio e cucito- Archivio foto Associazione Mariam Fraternità- ONLUS)