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Eroi nel silenzio

Ci sono eroi che lavorano nel silenzio, che non hanno bisogno di mettersi in mostra, che si muovono spinti da motivazioni che vanno ben oltre il senso comune, oltre le convinzioni della maggioranza. Eroi che non seguono le mode, ma seguono le proprie spinte emozionali, convinti che, seppure non si possa cambiare il mondo, esso può essere vissuto secondo i propri ideali, seguendo il proprio senso di giustizia.  Eroi che quando si incontrano ti accolgono con un sorriso ed una stretta di mano, simboli di una semplicità innata, che non chiede riverenza, che non dà importanza a se stessa, credendo sia normale agire in tal modo. Quando incontri persone del genere, al di là della propria volontà, non puoi fare  a meno di raccontare la loro storia. Da circa 10 anni un gruppo di persone, medici e paramedici, dedicano il loro tempo libero, le proprie ferie,  a curare malati andando ad Asmara per lavorare in collaborazione con i medici locali, procurando loro anche i macchinari più moderni, il tutto a loro spese, dando fondo ai propri beni.  In un mondo occidentale super-competitivo che ha fatto negli ultimi venti anni dello sfarzo, del lusso, dell’ostentazione del proprio ruolo sociale, un vero e proprio must, fare scelte del genere significa soprattutto saper guardare il mondo con i propri occhi, saper essere se stessi e saper dare alla propria vita un indirizzo che segue il proprio cuore, la propria anima, la propria sensibilità. Oggi scegliere di non accumulare ricchezze grazie alle proprie capacità, bensì  donare e mettere a disposizione le proprie capacità a servizio degli altri è una scelta controcorrente, per questo molto più apprezzabile, tanto da essere definita eroica.  Il Professor Salvatore Galanti e Gianfranco Cicciù hanno fatto questa scelta. Il primo , urologo, è da circa dieci anni che va ad Asmara più volte l’anno per operare e assistere malati in una delle più affollate strutture ospedaliere asmarine. Il secondo, infermiere, lo segue da più di quattro anni.  In questi anni hanno coinvolto nei loro progetti altre persone, altre associazioni  italiane come la Consulcesi che li aiuta a coordinare e a trovare fondi per tutto ciò che può servire ai reparti medici dell’Ospedale Eritreo in cui operano. Noi conosciamo la loro storia, perché da circa 4 anni, Il Professor Salvatore Galanti, Gianfranco Cicciù e tutto lo staff hanno conosciuto l’opera di Suor Pina e della Congregazione del Buon Samaritano ad Asmara ed hanno deciso di aiutarci nei nostri progetti di adozione a distanza, nel reperire fondi per creare, ove possibile, altre case-famiglia, altri pozzi, altri asili. A poco a poco, approfondendo la conoscenza, stanno diventando persone con le  quali collaboriamo giorno dopo giorno. Il mondo è piccolo e le persone si incontrano nei modi più disparati, il nostro terreno comune è la solidarietà verso gli ultimi, verso i poveri, verso tutti coloro che non sono protetti, che non hanno in nessun modo forza contrattuale, per i senza voce. Fra le tante storie tristi che spesso ci capita di raccontare, questa è uno storia positiva e la raccontiamo con gioia, sperando che tutti voi lettori siate partecipi dell’idea che il mondo con piccole cose, con piccoli sacrifici possa cambiare in meglio per tutti. In fondo se nel mondo ci fossero 10, 100, 1000, 10000 persone del genere, forse non ci sarebbero più ingiustizie, non ci sarebbe più povertà, vivremmo in un mondo un po’ più in equilibrio. Perché non sperarci? Perché non prendere esempio da loro per cercare di fare il nostro dovere cercando di non farci travolgere dalla moda del momento, dall’acquisto di turno, dall’effimero che quotidianamente dilaga nel nostro modo di vivere occidentale? Basterebbe dedicare all’altro il tempo che molti passano istupiditi davanti a beceri programmi televisivi e tutto sarebbe diverso, di certo migliore. E se tutti facessimo così, capiremmo anche che l’Africa, l’Eritrea, la povertà è dappertutto, anche fuori l’uscio della nostra porta, basta aprire gli occhi, vederla e impegnansi a contrastarla, non facendo finta di nulla, senza mettere la testa sotto la sabbia come se fossimo struzzi. Tutti noi siamo potenziali eroi silenziosi, basterebbe poco, forse solo una presa di coscienza abbinata ad una forte dose di buona volontà per diventarlo, di certo  potremmo prendere esempio da alcuni, come il Prof. Galanti, Cicciù e altri,  che, in fondo, già lo sono.

Cnsulcesi

(Foto: Prof.Galanti con colleghi eritrei)

 

Le Suore del Buon Samaritano

Guardare una quercia millenaria è sempre uno spettacolo agli occhi dell’uomo. Osservandola si capisce il certosino lavoro della Natura, che con tutta se stessa, acqua vento pioggia sole, ha reso possibile il miracolo che si staglia, immobile, davanti ai nostri occhi. Il miracolo della vita di un uomo o di una donna non può essere osservato nello stesso modo: rimanendo immobili. Esso è dato dalla conoscenza che si ha dell’altro/a, dalle azioni fatte, da ciò che dell’altro/a rimarrà per sempre. Più di 40 anni di vita per un essere umano possono essere ben paragonabili a gran parte della vita di una quercia millenaria. Sono più di 40 anni che Suor Pina Tulino vive ad Asmara, ed è il suo lavoro la testimonianza della sua vita. Molti sono i semi della sua opera che hanno dato frutti. Uno di questi è sicuramente quello di aver dato vita alla Congregazione delle Suore del Buon Samaritano nata nel 1989 per rispondere ulteriormente alle esigenze dei poveri dell’Eritrea. Ora le suore, dopo 26 anni, sono ben 35 e tutte sono coinvolte nel lavoro della missione, Il loro carisma è aiutare i poveri più poveri offrendo loro assistenza sociale e spirituale. La loro formazione è tesa a garantire la dignità umana ai poveri partecipando a progetti che mirino ad inserirli, per quanto ciò sia possibile, in percorsi lavorativi che li renda autonomi da qualsiasi aiuto. Le suore sono dislocate nelle varie attività presenti ad Asmara e dintorni: 5 suore sono ad Himberti, 5 a Maiedaga, 3 a Maitemenai, 4 nella Casa degli Angeli (casa-famiglia dove vi sono bambini serio positivi), 2 nella Casa degli aspiranti, 3 a Kidane Mehret, 3 a Gheza Beranu, 7 nel noviziato di Betania House, 3 a Zezerat (Bietel House).Una volta al mese si riuniscono per un incontro spirituale comunitario. Le loro giornate sono molto piene, iniziano di mattina presto con un incontro di preghiera, poi ogni suora affronta la giornata svolgendo il rispettivo compito che spesso corrisponde a mandare avanti intere case-famiglie in genere composte da mamme intente ad accudire i figli, da ragazze da inserire nel contesto socio-culturale-economico della città o del villaggio in cui si vive, bambini da mandare a scuola e da accudire per tutta la giornata,magari controllando se abbiano fatto o meno i compitini assegnati loro per il giorno dopo. La loro giornata finisce generalmente con l’ascolto della Santa Messa e con ulteriore momento di preghiera insieme a tutti gli abitanti delle rispettive case-famiglia. Nei momenti in cui non hanno grandi impegni nelle rispettive case, le suore escono per le strade di Asmara o dei villaggi per fare visita ai poveri, per portare loro conforto. Il nostro lavoro, il lavoro dell’Associazione Mariam Fraternità-ONLUS- non potrebbe essere svolto senza l’aiuto delle suore, sono la parte operativa dei nostri sforzi nel raccogliere fondi in Occidente. Sono loro che ci fanno conoscere i bisogni di un intero popolo, le loro necessità. Tutte le 35 suore sono eritree, parlano il tigrino, conoscono l’inglese. Le Suore della Congregazione del Buon Samaritano fanno parte del popolo eritreo, sono parte integrante di esso. Forse sarebbe stato più facile costruire mattone dopo mattone una comunità religiosa fatta di suore che avessero scelto di essere missionarie in un Paese lontano dal loro Paese di origine, sarebbe stato più facile perché si sarebbe avuto un carisma condiviso con una formazione spirituale di matrice esclusivamente occidentale, si è scelta la strada più difficile, quella che nel tempo, si spera, darà i migliori frutti. Forse è questa la forza della quercia: sapersi radicare con tutta se stessa nella terra che occupa, essere la terra, lavorare e crescere all’unisono con essa e per essa.

Le Suore del Buon Samaritano

(Foto: suor Pina, al centro, con alcune delle Suore della Congregazione del Buon Samaritano)

Il racconto di Angelo: L’Incontro con le Suore del Buon Samaritano

… gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi,caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. ……

E’ questa l’immagine che ebbi fin dalla prima volta che feci esperienza di Suor Pina e della sua Congregazione: le Suore del Buon Samaritano.

Harnet Avenue, una Domenica di Settembre del 2009, tutto inizia sulla scalinata della Cattedrale; sono le 9.00 del mattino e Suor Pina, come tutte le Domeniche, arriva puntuale alla Messa che si celebra in lingua italiana, con a seguito bambini e bambine di tutte le età.

Non la conoscevo ancora ma mi colpì subito il senso di serenità che leggevo sui volti di questa simpatica “comitiva”.

In Chiesa, inoltre, notai l’attenzione, la compostezza ed il raccoglimento dei bambini durante tutta la Celebrazione.

Insomma, era stato “folgorato” da queste scene davvero inconsuete, tanto che alla fine della Messa la fermai per presentarmi.

Beh, dopo qualche ora mi trovai a pranzo nella casa d’accoglienza di Maitemanai insieme ad una quindicina di bambini e bambine ed alcune suore: era scattata la scintilla dell’ ”incontro”.

Mi ero sentito come uno di casa e, da allora, sono tornato tutti gli anni ad Asmara ed ho incontrato questa splendida figura che con tenacia, forza di volontà e tanta pazienza porta avanti un progetto di vita, un’utopia concreta a favore degli ultimi, degli emarginati, di coloro che vengono esclusi dalla società.

Ed ogni volta ho portato dall’Italia persone affinché conoscessero non solo l’Eritrea ma soprattutto l’esperienza di questa Congregazione, lo spirito che muove tanta laboriosità, coraggio e intensa preghiera.

E’ davvero un mondo meraviglioso, quello di Suor Pina e delle sue consorelle, fatto di semplicità e di umiltà ma anche di tanta determinazione nel portare avanti gli ideali ed i valori del “buon samaritano”, attraverso un lavoro incessante con i ragazzi e le ragazze strappate alla strada, con i bambini orfani o malati, con i carcerati e con tutti coloro che si ritrovano “spogliati” o “percossi”.

Ciò che riescono a offrire queste “suorine” non si limita solamente al soddisfacimento dei bisogni primari (casa, mangiare, vestiti) ma abbraccia tutta la vita della persona umana, dallo studio alla formazione professionale, dall’inserimento nel mondo del lavoro alla speranza di un futuro migliore; e ancor di più incredibile è il grande amore che sta alla base delle relazioni all’interno di questa “grande famiglia”.

Questo incontro “casuale” ha dato sicuramente una scossa alla mia vita, facendomi rivedere tante mie “certezze” e mettendomi in crisi ogni qualvolta incontro sul mio cammino persone che vivono ai margini della società.

La testimonianza che – quotidianamente – ci offrono le Suore del Buon Samaritano è certamente per noi tutti un “viatico” che ci deve aiutare a vivere in maniera sobria e genuina la nostra vita di “uomini e donne di buona volontà”, ricercando la felicità del nostro prossimo, e soprattutto di chi più soffre e ha bisogno di qualcuno che si “prenda cura di lui”.

A volte, la vita frenetica ci distoglie dall’osservare l’umanità che si muove intorno a noi; i rapporti umani diventano sempre più evanescenti e la crisi economica ci induce ad essere meno generosi con le realtà di bisogno; il rischio è quello di diventare sempre più indifferenti alle urgenze del fratello che soffre.

Invito tutti a trascorrere una giornata insieme alle Suore del Buon Samaritano; sicuramente capiremo che i nostri “bisogni” non sono altro che “effimeri” e costruiti dalla società dei consumi; una tale esperienza, inoltre, ci aiuterà a ricercare nuovi stili di vita e a ricreare nuove relazioni umane.  Angelo Salvo

Anegelo in Eritrea

(Foto: Angelo Salvo in Eritrea)

 

Volontari in Africa: Perché? – L’esperienza della dott.ssa Bianca Gibelli

Mi hanno chiesto di scrivere qualcosa su come e perché uno diventa volontario in Africa.

Le motivazioni profonde sono spesso diverse da quelle evidenti e comunque cambiano con l’esperienza diretta, come cambiano le persone. Provo a “fotografare” quello che non è un avventuroso viaggio in posti lontani ma soprattutto un viaggio verso l’interno, un viaggio difficile perché non esistono mappe o indicazioni stradali.

Certamente ogni persona ha il suo percorso, farcito e modulato dagli eventi personali e dalle situazioni circostanti. Credo però di poter riconoscere alcuni elementi comuni a molte storie, quindi a molte persone. Per quanto mi riguarda io penso di aver capito il mio percorso- e solo in parte- molto dopo il ritorno a casa.  All’inizio per chi chiedeva “perché vai?” avevo una risposta semplice, e mi sembrava una bella risposta: “Ho avuto dalla vita tutto e quasi tutto gratis. Ho sentito di avere un debito verso chi dalla vita non ha avuto altro che l’essere vivo e lo paga ogni giorno con fatica fame sofferenze angoscia”  Adesso so che è una risposta superficiale, sciocca, egocentrica; un modo per sentirmi a posto davanti a Dio e buona davanti agli uomini. Dio non mette sulla bilancia ciò che ho avuto e ciò che ho dato, non ha una contabilità fiscale e non chiede ritenuta d’acconto. Non calcola i minuti e i passi di ciò che faccio ma l’amore con cui lo faccio.

Prima motivazione bocciata, riproviamo

Anche se le tappe-motivazioni di  questo viaggio sono sicuramente diverse per ogni persona forse una piccola ombra di ciascuna si ritrova in tutti quelli che partono. Penso che le tappe principali di questo percorso in proporzione variabile possano essere, molto semplificate, queste cinque:

1 buonismo 2 avventura 3 mito 4 fuga 5 curiosità.

Vediamo se qualcuno ci si ritrova.

1) buonismo è forse la componente più comune, un poco lo spirito del boy scout: vado a fare una buona azione. Per carità, ottima cosa, ma questa motivazione si sgretola presto quando ci si accorge che aiutare una vecchietta o un bimbo o costruire un muro o una scuola non cambiano nulla della storia di un popolo e della sua tragedia. Il buonismo affoga nel frustrante senso di inutilità poco dopo aver constatato la vastità dei problemi e la piccolezza dell’intervento

2) avventura: ma non è poi così avventuroso combattere contro le difficoltà di ogni giorno, la fatica, il ricominciodacapo, il cibo o il caldo o ogni altra cosa che ci ricordi di essere lontani da casa. L’avventura vera è lo straordinario tuffo dentro noi stessi che in qualche modo si è costretti a fare. Ci vuole coraggio  per guardarsi dentro e accettare quello che si trova sul fondo. E decidere poi cosa è importante nella nostra vita, non nella vita dell’Africa

 3) mito (del superuomo) anche questa è piuttosto potente come motivazione: IO, io vado e salvo il mondo IO (viso pallido) posso farlo. Di solito bastano pochi giorni di Africa perché un superuomo di intelligenza media riconosca la sua grottesca impotenza di fronte alla devastazione della fame della guerra della burocrazia della mancanza di tutto ciò che conosce come strumento operativo. Basta poco perché si sgonfi, ma intanto ha imparato cose molto importanti: sono un servo inutile, il mondo è già stato salvato, e soprattutto esiste la Provvidenza, che arriva dove l’uomo non arriverà mai.

4) fuga: dalla realtà quotidiana, dall’ambiente, dalle responsabilità, dai fallimenti, dalla mediocrità, dalla noia, qualche volta dal contesto familiare.  Vado in Africa: sono giustificato, ottimo alibi.

Beh, non è che in Africa i problemi scompaiano, solo ci sono problemi diversi- anche tanti- problemi che ancora sottolineano l’eventuale senso di inadeguatezza che può aver portato alla fuga, e allora uno è costretto  a chiedersi: Vabbè ma da CHI  fuggo veramente io?

 5) curiosità: Ricerca  Scoperta  Cultura  Antropologia ecc ecc La curiosità mascherata da amore per la conoscenza è mescolata in dosi variabili alle motivazioni precedenti, ma credo sia presente molto spesso. Però  come motivazione si affloscia quando sfocia in due semplici domande: 1) ma non bastava la televisione? 2) E la scoperta più grande qual’è?

 Alla fine c’è una sesta tappa, quella credo necessaria e più credibile: l’Amore.

Difficile codificare le tantissime forme di amore che portano a fare delle scelte ( materno fraterno amicizia dono carità riconoscenza  amore-perdono amore egoista   amore-non-so ) ma alla fine una qualsiasi di queste forme d’amore è ciò che resta poi in piedi delle motivazioni che hanno spinto a partire. A volte è il legame che si crea con la gente, con i bimbi, con gli ammalati, a volte è una specie di  amore- emulazione : voglia di essere come qualcuno che è  chi è lì a lavorare e che ha tutto il nostro affetto, a volte è Amore e basta = quel soffio di tenerezza che viene da Dio e non trova spiegazione razionale.

E, per finire,  c’è anche l’ammirazione,  l’affetto, e anche qualcosa che assomiglia all’invidia, per chi è capace di dare tutto sé stesso sempre, invece di qualche pezzettino di vita, per chi ha allargato le braccia per donare non gli avanzi di tempo forza e pazienza, ma tutto quanto,  per chi dona sapendo di non aspettare nulla in cambio e spesso di non vedere neppure i frutti di questo dono, perché è solo il Signore che costruisce al di là delle fatiche e dei progetti.

Ma ricordo anche che Lui ha sempre la delicatezza di chiedere a noi il primo sforzo ( il primo pezzo di pane o pesce con cui nutrire migliaia di persone) e allora anche il mio dono tirchio e stiracchiato, il mio pezzettino di vita, forse trova un senso.

Cristian e bimbi

(Foto archivio Dott.ssa Bianca Gibelli)

Crescere con il sostegno a distanza; tstimonianza

Abbiamo ricevuto, tempo fa, la lettera di una ragazza eritrea cresciuta grazie al sostegno a distanza, la pubblichiamo:

Mi chiamo Salamawit Kebedom. Sono nata ad Asmara, capitale dell’Eritrea, il 22 aprile 1988. Sono crescita con mia madre. Ho una sorella e un fratello. Quando avevo dieci anni improvvisamente mia madre si ammalò.

Io non riuscivo a capire la natura del male. Dopo la morte di mia madre, la mia crescita educativa continuò grazie a Dio, a Suor Pina a Padre Giosigian e a mamma Franca (la signora italiana che mi ha adottato a distanza).

Ricordo di essere stata una brava studentessa. A quattordici anni iniziai a pormi delle domande sull’identità di mio padre: Chi era? Com’era fatto? Dov’era? Iniziai a cercare le risposte alle mie domande. Anche mia sorella aveva i miei stessi dubbi. Non potevamo chiedere a mia mamma perché già era molto malata.

Mentre ero tormentata da queste domande continuavo a studiare.

A differenza di mia sorella e di mio fratello io ero sfortunata perché loro almeno lo avevano conosciuto e sapevano com’era fatto. In quel periodo Dio vegliava su di me, vinsi un premio nella mia scuola.

Il problema non era solo l’identità di mio padre, ma anche l’essere povera.  Mia madre non aveva nulla. Io ho lottato per vivere. Mi sono battuta.

C’era il problema della Carta d’Identità. Grazie alle preghiere e all’Onnipotenza di Dio tutto si risolse.

Finita la scuola dovevo andare a Sawa sia per il servizio militare sia per continuare gli studi. Chiesi aiuto a Suor Pina che mi comprò tutte le cose necessarie. Suor Pina mi è stata sempre vicina ascoltandomi, aiutandomi economicamente e per molto altro. Che Dio protegga Suor Pina!

Finita la scuola militare, feci l’esami di immatricolazione per iscrivermi all’Università di Asmara. Grazie a Dio lo superai. Ero felice, ma avevo il problema di dove abitare. La casa dove abitavo prima con mia sorella era occupata perché nel frattempo mia sorella si era sposata ed aveva avuto dei figli. Tutti vivevano in un’unica stanza e quindi lì non avrei potuto dormire.

Mio fratello abitava in una stanza piccolissima, nonostante ciò mi diede il permesso di abitare con lui finché non avessi finito gli studi. Però, finito il primo anno di Università mi disse: <<Trovati un’altra stanza, io voglio vivere da solo!>>. Lo pregai di farmi rimanere, ma non ci fu verso.

Dio risolse i miei problemi inerenti alla casa: in quel periodo il Governo creò il Malhole College per gli studenti iscritti alla Facoltà di Business ed Economia, così io, a spese del Governo, andai a vivere al Malhole College.

Questo mi diede un po’ di tranquillità. Sono stata lì per due anni vivendo con i miei colleghi.

Finiti gli studi ho lavorato per il Governo come insegnante d’inglese con un normale stipendio. In quegli anni che lavoravo per la Pubblica Amministrazione vivevo presso una famiglia ad Asmara.

Dopo la laurea non ho trovato un lavoro adeguato ai miei titoli di studio.

Sto insegnando da più di 5 anni ed in tutto questo periodo ho sempre continuato ad aiutare Suor Pina.

Faccio l’insegnante dal 2009 e solo ora ho avuto l’opportunità, con l’aiuto di Suor Pina che mi ha aiutato a coprire le spese, di prendere in affitto una casa. Ora vivo sola nel mio appartamento in Asmara. Ho 28 anni ed ancora chiedo aiuto a Suor Pina. Non ho parole che possano descrivere la mia gratitudine per lei. Dio la Benedica! Anche il mio futuro è nelle mani di Dio.

(ndr: lettera scritta in inglese, traduzione a cura dell’Associazione Mariam Fraternità– ONLUS)

Salamwit oggi

(foto: Salawit oggi)