Volontari in Africa: Perché? – L’esperienza della dott.ssa Bianca Gibelli

Mi hanno chiesto di scrivere qualcosa su come e perché uno diventa volontario in Africa.

Le motivazioni profonde sono spesso diverse da quelle evidenti e comunque cambiano con l’esperienza diretta, come cambiano le persone. Provo a “fotografare” quello che non è un avventuroso viaggio in posti lontani ma soprattutto un viaggio verso l’interno, un viaggio difficile perché non esistono mappe o indicazioni stradali.

Certamente ogni persona ha il suo percorso, farcito e modulato dagli eventi personali e dalle situazioni circostanti. Credo però di poter riconoscere alcuni elementi comuni a molte storie, quindi a molte persone. Per quanto mi riguarda io penso di aver capito il mio percorso- e solo in parte- molto dopo il ritorno a casa.  All’inizio per chi chiedeva “perché vai?” avevo una risposta semplice, e mi sembrava una bella risposta: “Ho avuto dalla vita tutto e quasi tutto gratis. Ho sentito di avere un debito verso chi dalla vita non ha avuto altro che l’essere vivo e lo paga ogni giorno con fatica fame sofferenze angoscia”  Adesso so che è una risposta superficiale, sciocca, egocentrica; un modo per sentirmi a posto davanti a Dio e buona davanti agli uomini. Dio non mette sulla bilancia ciò che ho avuto e ciò che ho dato, non ha una contabilità fiscale e non chiede ritenuta d’acconto. Non calcola i minuti e i passi di ciò che faccio ma l’amore con cui lo faccio.

Prima motivazione bocciata, riproviamo

Anche se le tappe-motivazioni di  questo viaggio sono sicuramente diverse per ogni persona forse una piccola ombra di ciascuna si ritrova in tutti quelli che partono. Penso che le tappe principali di questo percorso in proporzione variabile possano essere, molto semplificate, queste cinque:

1 buonismo 2 avventura 3 mito 4 fuga 5 curiosità.

Vediamo se qualcuno ci si ritrova.

1) buonismo è forse la componente più comune, un poco lo spirito del boy scout: vado a fare una buona azione. Per carità, ottima cosa, ma questa motivazione si sgretola presto quando ci si accorge che aiutare una vecchietta o un bimbo o costruire un muro o una scuola non cambiano nulla della storia di un popolo e della sua tragedia. Il buonismo affoga nel frustrante senso di inutilità poco dopo aver constatato la vastità dei problemi e la piccolezza dell’intervento

2) avventura: ma non è poi così avventuroso combattere contro le difficoltà di ogni giorno, la fatica, il ricominciodacapo, il cibo o il caldo o ogni altra cosa che ci ricordi di essere lontani da casa. L’avventura vera è lo straordinario tuffo dentro noi stessi che in qualche modo si è costretti a fare. Ci vuole coraggio  per guardarsi dentro e accettare quello che si trova sul fondo. E decidere poi cosa è importante nella nostra vita, non nella vita dell’Africa

 3) mito (del superuomo) anche questa è piuttosto potente come motivazione: IO, io vado e salvo il mondo IO (viso pallido) posso farlo. Di solito bastano pochi giorni di Africa perché un superuomo di intelligenza media riconosca la sua grottesca impotenza di fronte alla devastazione della fame della guerra della burocrazia della mancanza di tutto ciò che conosce come strumento operativo. Basta poco perché si sgonfi, ma intanto ha imparato cose molto importanti: sono un servo inutile, il mondo è già stato salvato, e soprattutto esiste la Provvidenza, che arriva dove l’uomo non arriverà mai.

4) fuga: dalla realtà quotidiana, dall’ambiente, dalle responsabilità, dai fallimenti, dalla mediocrità, dalla noia, qualche volta dal contesto familiare.  Vado in Africa: sono giustificato, ottimo alibi.

Beh, non è che in Africa i problemi scompaiano, solo ci sono problemi diversi- anche tanti- problemi che ancora sottolineano l’eventuale senso di inadeguatezza che può aver portato alla fuga, e allora uno è costretto  a chiedersi: Vabbè ma da CHI  fuggo veramente io?

 5) curiosità: Ricerca  Scoperta  Cultura  Antropologia ecc ecc La curiosità mascherata da amore per la conoscenza è mescolata in dosi variabili alle motivazioni precedenti, ma credo sia presente molto spesso. Però  come motivazione si affloscia quando sfocia in due semplici domande: 1) ma non bastava la televisione? 2) E la scoperta più grande qual’è?

 Alla fine c’è una sesta tappa, quella credo necessaria e più credibile: l’Amore.

Difficile codificare le tantissime forme di amore che portano a fare delle scelte ( materno fraterno amicizia dono carità riconoscenza  amore-perdono amore egoista   amore-non-so ) ma alla fine una qualsiasi di queste forme d’amore è ciò che resta poi in piedi delle motivazioni che hanno spinto a partire. A volte è il legame che si crea con la gente, con i bimbi, con gli ammalati, a volte è una specie di  amore- emulazione : voglia di essere come qualcuno che è  chi è lì a lavorare e che ha tutto il nostro affetto, a volte è Amore e basta = quel soffio di tenerezza che viene da Dio e non trova spiegazione razionale.

E, per finire,  c’è anche l’ammirazione,  l’affetto, e anche qualcosa che assomiglia all’invidia, per chi è capace di dare tutto sé stesso sempre, invece di qualche pezzettino di vita, per chi ha allargato le braccia per donare non gli avanzi di tempo forza e pazienza, ma tutto quanto,  per chi dona sapendo di non aspettare nulla in cambio e spesso di non vedere neppure i frutti di questo dono, perché è solo il Signore che costruisce al di là delle fatiche e dei progetti.

Ma ricordo anche che Lui ha sempre la delicatezza di chiedere a noi il primo sforzo ( il primo pezzo di pane o pesce con cui nutrire migliaia di persone) e allora anche il mio dono tirchio e stiracchiato, il mio pezzettino di vita, forse trova un senso.

Cristian e bimbi

(Foto archivio Dott.ssa Bianca Gibelli)