Il piacere di incontrare degli eroi…

Ci sono eroi silenti che non gridano al mondo il loro operato. Ci sono eroi che diventano tali perché non seguono la massa; non seguono l’opinione corrente; ci sono eroi silenti che andando controcorrente tracciano sentieri da seguire, percorsi da intraprendere; fanno scelte da imitare. Giorni fa ci siamo imbattuti in uno di questi eroi silenti, la dott.ssa  Nunzia Pia Manganelli, nostra conterranea,  che, laureata in medicina, ha deciso di fare un’esperienza lavorativa a Lampedusa prestando i primi soccorsi ai migranti.

Ė probabile che alla dott.ssa manganelli non piaccia la definizione di eroe silente, forse se la stessa definizione  fosse un vestito lo indosserebbe con quell’imbarazzo di chi in un pub indossa un vestito da cerimonia; nonostante ciò, siamo convinti che questa sia una definizione che le calza a pennello e che ben descrive il suo operato.   Abbiamo voluto incontrarla, di seguito riportiamo il resoconto della nostra chiacchierata che offre spunti interessanti di discussione

Nunzia Pia 5

 D.: Dott.ssa Manganelli, abbiamo voluto incontrarLa per farci raccontare la sua esperienza a Lampedusa. Sono molte le cose che vorremmo domandarLe, cercheremo di essere coincisi. Lei è un giovane medico, con una brillante carriera davanti a sé; in piena tempesta mediatica contro i migranti Lei ha deciso di prestare servizio a Lampedusa, perché?

R: La tempesta mediatica contro i migranti non ha modificato quelle che già da un po’ di tempo erano le mie idee. Se mi viene chiesto un parere “politico” rispondo volentieri, perché credo che un medico non possa evitare di prendere una posizione. L’ Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o infermità”. Se abbiamo a cuore la salute dei nostri pazienti, dobbiamo tenere ben presente tutto ciò. Il primo passo per raggiungere lo stato di benessere a cui ambiamo è la conoscenza. Ecco, sono partita per Lampedusa perché volevo conoscere in prima persona le storie dei migranti, le condizioni in cui vivono e viaggiano, e non soltanto per sentito dire o attraverso la immagini trasmesse dai media.

 

Nunzia Pia 4

 D.: Quali erano i suoi compiti?     

R.:  L’operazione per cui sono stata assunta si chiama PASSIM (Primissima Assistenza In Mare). Lavoravamo in collaborazione con la Guardia Costiera e ci occupavamo di tutti i problemi sanitari che potevano verificarsi durante il recupero dei migranti in mare (principalmente annegamento, ustioni, parti o assistenza alle gravide; ipotermie o ipoglicemie).

Nunzia Pia 2

D.: Secondo lei chi fugge ha altre scelte o è spinto dalla disperazione?

R.: Senza dubbio la maggior parte sono spinti dalla disperazione. Non potrei trovare altra spiegazione al coraggio con cui affrontano viaggi così pericolosi senza bagagli personali, senza sapere dove sono diretti e spesso con bambini molto piccoli.

 

Nunzia Pia1

D.: Dal nostro sito e dal nostro notiziario mensile noi affermiamo spesso che centomila persone l’anno che sbarcano su una piccola isola come Lampedusa sono una tragedia, centomila persone l’anno che sbarcano in Sicilia ed in Italia sono un dramma, centomila persona l’anno che sbarcano in Europa possono diventare una risorsa. Dalla sua esperienza si sente di condividere questa idea? Cosa ne pensa?

R.:  Più o meno. Che i migranti per l’ Europa possano essere una risorsa ne sono convinta. I flussi migratori ci sono sempre stati, direi che è un processo fisiologico. A distanza di un secolo, credo che gli americani possano affermare che gli immigrati europei abbiano portato qualcosa di positivo.
Purtroppo il processo di integrazione è ancora molto lento, ma con delle politiche efficaci (faccio un esempio banale: offrendo loro dei corsi di lingua fin dal momento in cui arrivano) potrebbero cambiare tante cose.
Oserei dire che i migranti abbiano rappresentato una risorsa anche per Lampedusa, ma forse non sono la persona più adatta per rispondere, forse dovreste chiederlo ai cittadini del luogo.

 

Nunzia Pia 3

D.: Qual è il ricordo che le resterà indelebile?

R.: I canti e le grida di gioia dei migranti quando, dopo venti ore di viaggio, hanno visto la costa e hanno chiesto se si trattava dell’Italia.
Ho gioito con loro, ma il cuore mi si è spezzato pensando a quanto potessero essere disperati se avevano accettato in silenzio quello che era stato loro offerto, senza sapere dove fossero diretti e quale fosse il loro destino una volta arrivati.
Nel momento in cui sbarcavano non avevano niente: né la loro terra sotto i piedi, né la loro famiglia, né alcuna certezza.

 D.: Secondo lei come si potrà migliorare la situazione?

R.:  Ho avuto modo di comprendere che uno dei problemi più grandi è che i migranti trascorrono dei periodi lunghissimi nei centri di accoglienza, in attesa dei documenti necessari. Questo rappresenta anche un importante dispendio di risorse, per cui -pur non essendo esperta dell’ambito, e quindi non essendo in grado di fornire una soluzione concreta- credo che per prima cosa bisognerebbe accelerare i processi burocratici, o per lo meno favorire l’integrazione nella nostra società e cultura fin dalle prime settimane. Ritrovandosi chiusi nei centri così a lungo, molti scappano e tanti altri rischiano di sviluppare patologie psichiatriche.

D.: Crede che gli italiani siano un popolo accogliente o chiuso in se stesso?

R.:  Mi è capitato di parlare con tante persone e ho notato che lo spirito con cui affrontano l’argomento cambia molto in base all’età, alla provenienza, al livello culturale e sociale.
Mi sembra che ultimamente, con l’incremento esponenziale del numero dei migranti, si sia diffuso un atteggiamento di insofferenza nei loro confronti, e me ne rammarico. Se ci sarà qualche cambiamento, credo che questo partirà dai più giovani.

 D.: Parliamo dell’accoglienza di migranti nel territorio, lei cosa ne pensa?

R.: Credo di aver già risposto in parte.
In un certo senso capisco chi si lamenta degli africani che chiedono l’elemosina all’uscita dei supermercati, mi rendo conto che è difficile accettare questa situazione. La gente non capisce, però, che tutti coloro che arrivano hanno voglia e bisogno di lavorare e che anche per loro questo tipo di vita è frustrante.
Favorire l’integrazione vuol dire fare in modo che i migranti possano sentirsi parte della nostra società, vuol dire offrire loro un lavoro dignitoso e sicuro e permettere ai loro figli di convivere e frequentare le scuole con i nostri bambini.
Siamo ancora lontani dal modello che io immagino; ho frequentato ambienti di immigrati e ho visto una discriminazione molte forte. La strada è lunga e difficoltosa ma penso che, a partire dal giovani, qualcosa possa cambiare.
E magari tra trent’anni mi ritroverò a sorridere rileggendo questo articolo ad un nipotino mulatto!

 

Migranti-a-Lampedusa-foto-archivio-300x225