Riportaimo le opinioni di chi ha vissuto il problema
(Irpinia e migranti: 1° parte)
di Salvatore Petito*

Chi ha girato l’Africa venti, trent’anni fa, già sapeva che quanto sta succedendo, prima o poi, doveva succedere. Semmai si meraviglia del ritardo.
La storia dell’uomo è fatta di migrazione, da posti dove si sta male verso posti dove si sta meglio. Questo, tanti non l’hanno capito e sbraitano si indignano, ma quando si andava in Africa, Asia o America latina a spolparli vivi, depredandoli delle loro risorse, quando il Fondo Mondiale Internazionale faceva prestiti da usura, quando si facevano fallire i centri di sperimentazione agricola perché le multinazionali non dovevano avere concorrenza, quando anche l’italiana ENI radicava, con logiche neocoloniali, redditizie politiche di sfruttamento energetico, quando si deponevano capi di stato sostituendoli con dittatorelli accondiscendenti, tanti, troppi sono rimasti in silenzio.
Quando Thomas Sankara (allora presidente del Burkina Faso), denunciava questo stato di cose, già negli anni ’80, nessuno si indignò. E nessuno si indignò nemmeno quando, Blaise Compaore, con la complicità dei servizi segreti francesi, americani e inglesi, lo uccise.
Eppure era già tutto scritto, bastava saperlo leggere. Leggere Leopold Senghor (il poeta della negritudine) o Aimeè Cesaire (scrittore e filosofo della Martinica) che nel 1950 in un discorso sul colonialismo denunciò che le società definite “civilizzate”, che stavano spingendo verso la frontiera della fame e dell’ignoranza intere generazioni, potevano oramai definirsi “decadenti” e, incapaci di gestire la complessità del colonialismo, quando fosse venuta meno anche questa discriminante, non sarebbero state in grado di interpretare neanche i diritti della propria gente. Allora, potevano smettere di considerarsi “decadenti” e definirsi “moribonde”.
Gli “sbraitatori” di professione, i leoni da tastiera contemporanei, non hanno mai letto la tristezza negli occhi di un vecchio lavoratore della foresta quando, per definire il periodo coloniale, diceva: “je me rappel ancore la chicotte” (mi ricordo ancora la frusta), non hanno mai compreso la rabbia che c’era nella frase scritta sul muro di fronte l’ambasciata francese di Yaounde (Camerun), il giorno dopo che fu ammazzato Sankara: “MALEN VOUS AVAIT TUE’ L’ESPOIRE DE l’AFRIQUE” ( maledetti avete ucciso la speranze dell’Africa). Cosa sanno del sangue e delle lacrime versati a Cociabamba (Bolivia) per realizzare cooperative sociali utili allo sfruttamento minerario, fatte fallire dalle multinazionali nordamericane perché nell’orto di “casa yankee”, niente deve muoversi se loro non vogliono?
L’ottusità contemporanea porta a non capire che, finché l’economia mondiale sarà gestita dal profitto, dalla concorrenza spietata, dallo sfruttamento, per i poveri cristi, ci sarà sempre meno. E, mentre alimentiamo guerre tra poveri, si allontana da noi l’idea di futuro.
Ormai, si va verso una gestione mondiale tripolare: Usa, Russia, Cina. L’Europa rimarrà esclusa da questo contesto, così, i reietti che verranno da noi, non troveranno neanche l’idea della terra promessa, solo un orda di barbari, fascisti un po’ nazisti, raggruppati in partiti politici senza nessuna collocazione sociale, che urlano, si agitano, con la bocca che schiuma un misto di rabbia e veleno, posseduti dal demone dei recinti e del filo spinato.
Ed essendo la sinistra, oramai, un corpo defunto ( sic! ), toccherà a quelli che sanno guardare orizzonti lontani, spiegare che la libertà è un “angelo che spezza le catene”.
* (Cooperatore internazionale)
